Cesare De Titta

Nacque a Sant'Eusanio del Sangro (Chieti) il 27 genn. 1862 da Vincenzo Vito, notaio, e da Maria Sofia Loreto. Rimasta vedova, la madre intraprese il lavoro di sarta, anche per conservare una sufficienza economica ai due figli: il D., che aveva due anni, e una femmina. Il ragazzo non frequentò il regolare corso delle scuole e fino a sedici anni visse in mezzo a contadini e artigiani, comprese le dipendenti del laboratorio materno: esperienza popolare che ricompare nei temi e nella lingua di una parte della sua arte. Avendogli il Comune destinato una borsa di studio presso il seminario di Lanciano, il D., assai abile nei volgarizzamenti in versi allora di prammatica nelle scuole, poté compiere il corso quinquennale in soli tre anni e mezzo. Avendo dovuto rinunciare alla carriera militare per una malattia agli occhi, nella scelta semiobbligata tra libera professione e sacerdozio optò per il secondo, cui aderì con intima serietà, nonostante il suo carattere anticonformista e libero. A diciannove anni ottenne un incarico di insegnamento nel seminario di Venosa, dove rimase fino al 1889, dedicandosi a traduzioni di Catullo: stampate al suo ritorno a Lanciano nel 1890 col titolo Saggi di traduzione da Catullo - Epitalamii ed altri carmi, gli procurarono dal ministero il "diploma" di insegnamento delle lettere, che tenne prima nel seminario di Lanciano, poi per concorso nel '91 nel ginnasio comunale (in seguito pareggiato e poi statizzato).
All'attività di insegnante il D. accompagnò la redazione di strumenti didattici: numerosi volumetti di grammatica italiana e latina, un'antologia di prosatori e poeti italiani, e raccoltine, intitolate Fiure e ffrutte (Fiori e frutti), di canti, proverbi e racconti popolari in dialetto abruzzese con versione italiana a fronte, destinate ai ragazzi delle elementari, anche in ossequio ai disposti della legge Gentile (edite dal Carabba di Lanciano, 1924 e 1929).
Come letterato, aveva debuttato con una raccolta di versi in lingua italiana, che nel titolo si rifà al Carducci (Iuvenilia, Venosa 1883). La seconda raccolta uscì nel 1900, stampata a Casalbordino (Nella vita, oltre la vita), e la terza (I sonetti, prima centuria con note illustr. di I. Tinaro) ad Atri nel 1922. Il Primo libro delle cartoline (Ortona 1914; altri "libri" sono rimasti inediti) presenta un D. diverso, meno "ufficiale", e invece ironico, giocoso, umoroso, che carteggiava con gli amici in sonetti "postali", spesso con tutte le parole finali dei versi spassosamente tronche. L. Illuminati (L'adolescenza...) ha redatto un elenco di poesie in lingua italiana comprese nelle raccolte inedite e ne ha curato un'antologia postuma (Così ... Come parlava il cuore, Guardiagrele 1933).
Latinista, il D. tradusse poeti italiani moderni, come il Carducci di Alle Valchirie, il D'Annunzio delle Elegie romane, G. Rossetti, il Mazzoni, la Aganoor Ponipilj, il brasiliano De Azeredo di tre elegie a Leone XIII (originale e trad., Rio de Janeiro 1901). Poeta in lingua latina, lasciò anche due volumi di Carmina (Lanciano 1922; Firenze 1952, con prefaz. di L. Illuminati). Quando il suo verso non si restringe a un semplice messaggio amicale, sa cogliere e agitare problemi attuali. Come in Libera nos Domine, vibrante appello ai popoli per la pace, dedicata a D. Grandi per la sua proposta di riduzione degli armamenti alla Società delle Nazioni, e in Deus Sabaòth, una preghiera al "Dio degli eserciti" di far vendetta sugli stessi, poco disposti ad abbandonare la loro ferinità: qui i metri sono felicemente riassunti dai ritmi del latino medievale.
Nel 1926 il D. si ritirò nella villula che si era costruito a Sant'Eusanio, dal bel nome di "Fiorinvalle di terra d'oro", e che aveva cantato in versi latini, ospitandovi molti illustri personaggi della cultura italiana. Vi morì il 14 febbr. 1933.

Fonte: Treccani.it